Agile Marketing – Parte 2
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Nell’ultimo articolo Agile Marketing – Parte 1 ho parlato di quanto il marketing, dopo la trasformazione digitale, si sia avvicinato molto al mondo del software development e che quindi la metodologia agile, che ha avuto la sua prima applicazione in quel settore, può essere utile applicata al marketing.
L’Agile Marketing fornisce ai manager e ai marketers un modo per mitigare il rischio, mettendo alla prova velocemente tante idee per valutarne il loro potenziale per reagire velocemente alle dinamiche digitali.
Bisogna passare da un approccio tradizionale a uno più sostenibile.
Ma cosa si intende per approccio tradizionale e quali sono le sue insidie?
Waterfall vs Agile
L’approccio Waterfall (cascata) utilizza degli step per gestire la complessità di un progetto dividendolo in più parti. Un esempio in ambito marketing potrebbe essere la realizzazione di una campagna o di un marketing plan. Le fasi, in entrambi i casi, possono essere le seguenti:
A primo impatto sembrerebbe logico ma c’è un aspetto che va sicuramente indagato.
Nell’approccio Waterfall ci si aspetta che chi definisce i requisiti sappia in anticipo esattamente cosa vuole. Questo implica che se a valle del rilascio del progetto qualcosa non è esattamente come era stato previsto o semplicemente le condizioni sono cambiate, il costo di modificare il risultato è molto alto.
Sfortunatamente questo approccio non si sposa bene con il cambiamento. Per reagire alle dinamiche digitali serve una metodologia che segua le stesse regole. Scopriamole insieme.
Alcuni rudimenti della metodologia Agile
Una delle metodologie Agile maggiormente applicate è lo Scrum. La metodologia Scrum organizza il lavoro in Sprint. Ogni sprint è composto da una fase di pianificazione, un modesto blocco di tempo utile alla produzione di deliverable che abbiano valore ma non siano troppo complessi e si conclude con una review che permetta di raccogliere feedback dagli stakeholder o dal mercato. Uno sprint ha una durata relativamente breve, più di una settimana ma meno di un mese
Un progetto verrà completato con la somma di diversi Sprint che produrranno in una logica incrementale il risultato finale, con il beneficio di poter effettuare degli aggiustamenti lungo il percorso (approfondirò questo punto più avanti).
Ma cosa succede esattamente in uno Sprint?
Nel Sprint vengono portati avanti e conclusi dei task (attività progettuali) che vengono scelti e prioritizzati da un elenco di User Stories (che descrivo brevemente come una serie di task) da portare a termine. L’attività di associare una priorità alle User Stories viene svolta prima che parta lo Sprint ed è compito del Marketing Owner (o Product Owner in gergo agile, cioè colui che ha la responsabilità di portare a termine il progetto).
Durante lo Sprint Planning, i membri del team esaminano le attività in priorità del backlog, stimano il lavoro utile per ultimarle, e si impegnano nel loro sviluppo e completamento durante lo Sprint.
Nelle fasi preliminari è utile anche definire le regole del gioco e nello specifico quale sia la “Definition of done” e cioè, cosa si intende quando si indica che un task sia concluso.
Si nota subito che durante lo Sprint Planning si manifesta più un meccanismo “pull” che “push”. Le User Stories, infatti, vengono prioritizzate dal Marketing Owner ma è il team che le esamina, stima il completamento dei task e prende l’impegno di portarli a termine.
A conclusione dello Sprint, il team e gli altri stakeholder si riuniscono per effettuare una disamina dei risultati ottenuti in modo da raccogliere spunti.
Prima di chiudere definitivamente lo Sprint, il team si interroga all’interno della Sprint Retrospective su come sono andate le cose. Generalmente si risponde alla domande: cosa è andato bene? cosa è andato male? cosa possiamo fare per migliorare?
Una volta concluso lo Sprint si parte per il nuovo. Questa processo si reitera nel tempo e permette di reagire al cambiamento data la sua elasticità.
Diversi livelli di complessità: task, User Stories ed Epiche
Alla base della metodologia Agile c’è il concetto che qualsiasi deliverable venga costruito tramite incrementi. Generalmente un progetto che sia più o meno complesso può richiedere tempo e diverse interazioni per essere portato a compimento.
Per questo il lavoro viene organizzato su livelli di complessità e obiettivi strategici crescenti.
Si parte dai task, che abbiamo già incontrato, che vengono raggruppati in User Stories.
Le User Stories (o Customer Stories, se le dobbiamo calare sul mondo del Marketing) hanno l’obiettivo di indicare non solo i requisiti da realizzare ma anche l’obiettivo. Questo permette di focalizzare in modo concreto quale impatto possono avere le azioni del team sulla vita del cliente nelle varie fasi del customer journey.
Le User Stories che sono correlate vengono a loro volta raggruppate in Epiche. Ma potremmo aver bisogno di raggruppare a loro volta delle Epiche in Tematiche (quello che si avvicina più a una roadmap di programmi piuttosto che progetti), fino ad arrivare alla Vision.
La strategia nell’Agile Marketing
A questo punto si è inteso quanto l’Agile Management si basi sulla strategia e la visione per avere successo.
Per capire meglio questo concetto utilizzo la metafora della bicicletta.
Pensa agli Sprints come il movimento rotatorio delle ruote di una bicicletta. A ogni giro delle ruote, la bicicletta si muove in avanti. La strategia indica la direzione grazie all’utilizzo del manubrio.
La pedalata (l’excution, come produzione di deliverable durante i vari Sprint) e l’orientamento del manubrio (strategy) lavorano insieme per raggiungere una precisa destinazione (vision).
Gli Sprint quindi non creano la strategia ma offrono flessibilità nell’esecuzione e permettono di ricevere feedback reali per reagire ai cambiamenti.
Come quindi la strategia guida gli obiettivi nella metodologia agile?
- Attraverso l’indicazione delle priorità delle user stories nel backlog
- Grazie all’utilizzo di user-stories che descrivono chi, cosa e come si stanno portando avanti le attività nei vari sprint, tutto il team è capace di comprende la strategia dietro le priorità.
- Con le sprint review che sono un’opportunità ricorrente per il “marketing owner” e tutti gli stakeholder per valutare i risultati con la lente degli obiettivi strategici
Innovazione e Agile Marketing
Nell’AgileMarketing, flessibilità vuol dire avere la capacità di testare nuove idee al fine di innovare.
In quest’ambito, uno dei concetti più importanti “rubati” al mondo del software development è la nozione di MVP.
Già vedo alcuni di voi fare il parallelo con il blasonato riconoscimento di Most Valuable Player dell’NBA ma vi devo dare una delusione.
Per MVP si intende il Minimum Viable Product, cioè, per vederla con gli occhi del Marketing, la più piccola forma di prodotto/servizio che l’azienda pensa possa interessare al proprio target. Di solito viene utilizzato per testare delle ipotesi in merito all’interazione che il target può avere con il prodotto/servizio proposto.
Per Minimum si intende che per verificare le ipotesi devono essere investiti generalmente poco tempo, denaro e attività professionali. L’importante è lanciare il prodotto il prima possibile sul mercato per raccogliere feedback. Questo però non vuol dire che il prodotto non debba essere Viable e cioè che non sia possibile utilizzarlo.
Quando si progetta un MVP è utile chiedersi le seguenti domande:
- Quali sono le ipotesi che stiamo testando con questo MVP?
- Quali metriche ci servono per verificare il successo di questo esperimento?
- Quale valore offre l’MVP alla target audience di riferimento?
- La qualità dell’MVP riflette il valore del nostro brand?
In pratica, l’agile ci permette di testare delle soluzioni riducendo però il costo dell’errore. Quando si utilizzano le giuste risorse, il costo dell’errore è limitato. Inoltre questa condizione di test può essere considerata perpetua poiché il prodotto/servizio viene continuamente migliorato dall’introduzione di nuove caratteristiche che lo rendono più completo e appetibile per la target audience.
Big data vs Big testing
Le dinamiche digitali hanno portato alla creazione esponenziale di dati (Big Data).
Ma i dati di per se, sono inerti. Ci possono dare informazioni sulle azioni che abbiamo messo in campo, ma è compito nostro renderli azionabili.
Uno dei modi migliori per farlo è effettuare degli esperimenti. Possiamo trovare degli schemi interessanti osservando i nostri dati (ricordandoci che la correlazione tra fenomeni non spiega per forza la causa), usarli per formulare delle ipotesi, e successivamente effettuare degli esperimenti per capire quelle ipotesi hanno un riscontro nel nostro contesto di marketing.
I risultati di quegli esperimenti sono spesso la cosa più di valore nel nostro processo decisionale.
Leggendo il libro di Scott Brinker ho trovato tante similitudini con il mondo del Growth Hacking. Come nel Growth Hacking il primo cambiamento che l’azienda deve fare è relativo al proprio mindset.
La volontà di mettere in discussione lo status quo e sperimentare nuove soluzioni in un stato di “perpetual beta” deve essere pervasivo all’interno dell’organizzazione.
L’insegnamento più grande è che viviamo in un mondo in continuo cambiamento e le organizzazioni, grandi o piccole che siano, hanno bisogno di nuovi modi di lavorare per non essere sopraffatte ma cavalcare questo contesto.
Il mio viaggio nell’AgileMarketing termina qui.
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